I due campi di concentramento a Campagna
CAMPO DI S. BARTOLOMEO |
CAMPO DELLA CONCEZIONE |
Le misure di
internamento cui l’Italia fece ricorso al momento dell’entrata in guerra
ricalcavano il modello del
confino politico, già sperimentato contro gli
oppositori del fascismo.
Anche per
l’internamento di italiani e stranieri durante la guerra, infatti, fu fatta
distinzione tra la forma più severa, vale a dire l’internamento in "campi di
concentramento", come ufficialmente erano denominati, e quella più blanda del
soggiorno obbligato in un comune, cioè del cosiddetto "internamento libero". In
pratica però la distinzione non era affatto così netta come potrebbe sembrare a
prima vista. L’internamento in un campo spesso si distingueva da quello nei
comuni solo per il numero più elevato di persone che venivano riunite in un
edificio o in un insieme di edifici; i "campi di concentramento" erano situati
esclusivamente sulla terra ferma.
Durante la fase
preparatoria il Ministero dell’interno prese in esame soprattutto la possibilità
di istituire "campi di concentramento" in edifici abbandonati o scarsamente
utilizzati. Vennero incaricati di reperire le opportune sistemazioni alcuni
ispettori generali, tra cui il più noto è certamente Guido Lospinoso, che nella
scelta avrebbero dovuto osservare i seguenti criteri: gli edifici non dovevano
trovarsi in zone di sicurezza militare, dunque non dovevano essere vicini alla
costa, ai porti, a importanti strade o linee ferroviarie, ad aeroporti o a
fabbriche di armamenti; non dovevano presentare problemi di stabilità, avere un
numero sufficiente di vani per poter accogliere una quantità abbastanza
consistente di internati e di addetti alla sorveglianza, essere abitabili senza
costosi lavori di restauro e di ristrutturazione e, se possibile, essere forniti
di acqua potabile, proveniente dalle condutture o da un pozzo, di corrente
elettrica e di un allacciamento telefonico. Bisognava tener conto anche delle
esigenze di custodia. Erano quindi da preferire edifici isolati, facilmente
controllabili, con un pezzo di terreno intorno, che fosse circondato da un muro
e dove pertanto gli internati potessero passeggiare sotto sorveglianza. I campi
non dovevano essere troppo distanti da un centro abitato in cui vi fossero una
stazione dei carabinieri, un medico e un negozio di alimentari, e la strada di
accesso doveva essere praticabile con qualsiasi tempo.
In base ai
rapporti inviati dagli ispettori generali, in cui venivano descritti nei
dettagli le località e gli edifici visitati, valutandone anche la capienza, il
Ministero dell’interno effettuò una prima selezione. Fu poi chiesto alle
prefetture di far esaminare gli edifici prescelti da propri funzionari, e in
molti casi si dovette constatare che la realtà era assai meno rosea di quanto
fosse stata dipinta dagli ispettori generali. Una volta ottenuto il consenso
definitivo del Ministero dell’interno, le prefetture stipularono i contratti di
affitto, fecero eseguire i lavori di restauro e le modifiche più urgenti e
provvidero a far disinfestare i locali e ad arredarli con mobili provenienti il
più delle volte dai magazzini dell’esercito.
Campagna era una
cittadina di 11300 abitanti e dal punto di vista della sicurezza militare
offriva condizioni ideali per l’internamento, essendo circondata da monti e da
colline che limitavano la visuale. Lungo gli argini di un torrente, vicoli
angusti e tortuosi si inerpicavano tra case che sembravano accatastate una
sull’altra. Quando gli internati fecero conoscenza con la città rimasero
inorriditi di fronte alla sporcizia e alla "arretratezza indicibile". Racconta
il medico Dawid Schwarz, riandando con la memoria a quell’esperienza, che
"spesso sulla pubblica via" si vedevano "donne sedute davanti alla
soglia di casa che tenevano un bimbo inginocchiato davanti a loro col capo
appoggiato in grembo e tranquillamente lo spidocchiavano".
Tra i campi
istituiti nel giugno del 1940 in edifici già esistenti e destinati ad accogliere
gli ebrei stranieri, il più grande era quello di Campagna; nei primi mesi dopo
che era entrato in funzione ospitava già 430 uomini catturati in diversi parti
d’Italia, tra cui anche alcuni inglesi e francesi e un gruppo di 40 ebrei
italiani. Questi ultimi vennero però trasferiti tutti in altri campi dopo poche
settimane. Nel novembre 1940 il numero degli ebrei stranieri era sceso a 230,
nel febbraio 1941 a 170, per raggiungere il livello più basso nell’aprile 1942,
con 112 persone. Nel novembre il loro numero era risalito a 170, e negli ultimi
mesi prima della liberazione da parte degli alleati, avvenuta nel settembre
1943, si aggirava sui 150. I due terzi circa provenivano dalla Germania e
dall’Austria, gli altri erano prevalentemente polacchi, cechi o ebrei di Fiume
divenuti apolidi.
Con un
telegramma datato 8 settembre 1939 l’allora Prefetto Bianchi, pur facendo
presente al Ministero dell’Interno che esistevano diverse località idonee alla
costituzione di colonie per confinati comuni nella provincia di Salerno, propose
Campagna come sede ottimale visto che il comune aveva la disponibilità di
"due caserme vuote attrezzabili per circa 900 posti". Quattro giorni
dopo, il Prefetto fece seguire una lettera in cui comunicava l’invio sul posto
del Vice Questore Pastore, il quale aveva constatato che nel comune di Campagna
erano disponibili due caserme, "Concezione" e "S. Bartolomeo", entrambe di
proprietà del comune: "La prima è accessibile con veicoli, è ariosa, in
discreto stato di manutenzione, con tre grandi camerate ed una ventina di
stanzette ed offre una capacità di circa 400 posti. Ha, però, un’ala
pericolante. La caserma S. Bartolomeo consta di due piani, oltre i locali
terranei. Vi sono cinque cameroni grandi, quattro piccoli, quattro stanze grandi
e tre piccole, quattro grandi corridoi, cucine, dispense, magazzini. Vi è acqua
e luce elettrica, ed è possibile alloggiare circa 450 persone. Qualche locale è
alquanto umido. Non è però accessibile con veicoli, essendovi circa trecento
metri di strada selciata, in salita. Entrambe le caserme sono alle due estremità
del centro abitato di Campagna e quindi in località appartate, dove è anche
facile la vigilanza". È chiaro dunque che, sia l’elevata capienza dei due
edifici sia la sicurezza militare, condizionarono enormemente le autorità
competenti nella scelta di Campagna come luogo ideale della provincia di Salerno
dove istituire un campo di concentramento.
Anche
l’Ispettore Generale di P. S. Guido Lo Spinoso, in una relazione del 1 febbraio
1940 al capo della Polizia Bocchini, esprimeva parere favorevole all’istituzione
dei due campi, ritenendoli idonei ad ospitare circa 750 persone, di cui 350 in
quello di S. Bartolomeo e 400 in quello della Concezione.
Il campo di S.
Bartolomeo e quello dell’Immacolata Concezione erano in effetti due ex conventi,
di proprietà del comune, utilizzati nel mese di settembre di ogni anno, come
caserme per gli allievi ufficiali del R. Esercito, per le esercitazioni pratiche
di campo che essi facevano alla fine del loro corso teorico.
L’unico
tentativo, per evitare la costituzione dei due campi, fu fatto dal Senatore del
Regno Roberto De Vito il quale, in una missiva del 23 aprile indirizzata
all’amico Bocchini, faceva presente di aver scelto proprio i due fabbricati come
sede per i figli dei postelegrafonici. Sottolineando che l’indisponibilità dei
due locali avrebbe sconvolto il piano organizzato per lo sfollamento in caso di
emergenza, chiedeva dunque di esaminare la possibilità di lasciarli liberi. Il
29 seguente però, Bocchini gli rispose: "nonostante la migliore buona
volontà, non è possibile rinunciare ai due edifici esistenti nel comune di
Campagna, dovendo detti locali essere adibiti, in caso d’emergenza, a campi di
concentramento per internati.
Nel giro di un
mese infatti le autorità si adoperarono freneticamente affinché la sistemazione
dei campi a Campagna - e non solo - fosse attuata nel più breve tempo possibile;
con un telegramma del 27 maggio al capo della Polizia, Lo Spinoso rese noto che
i due locali erano ormai a disposizione della Prefettura e che erano necessari
alcuni lavori di ordinaria amministrazione:"Tali lavori riguardano
soprattutto ritocchi ai tetti a infissi e pulizia disinfezione generale dei
locali". Il 28 poi, informò il capo della Polizia dell’inizio dei lavori
urgenti, precisando che per fine settimana i locali sarebbero stati pronti a
ricevere il casermaggio e - per i primi giorni della settimana entrante - anche
i confinati politici provenienti da Lampedusa; in seguito si sarebbe poi
provveduto ad ultimare i lavori senza recare alcun danno alle
persone.
Come previsto
dal rapporto di Lo Spinoso, il 6 giugno 1940 il Prefetto Bianchi comunicò al
Ministero dell’Interno che i lavori erano stati ultimati e che i locali erano
pertanto disponibili.
L’8 giugno erano
già dislocati a Campagna - per svolgere il servizio di vigilanza – 12
carabinieri, di cui due sottufficiali, e 15 agenti di Pubblica Sicurezza,
compreso un sottufficiale ed escluso il funzionario che non era ancora giunto da
Lampedusa.